lunedì 8 settembre 2025

L’IMPORTANZA DEL GIOCO NELLO SVILUPPO DEL BAMBINO. Riflessione sul ruolo cardine dell’insegnante nel supporto allo sviluppo affettivo.




 “ Ora discuterò un’importante caratteristica del giocare. Questa è che mentre gioca, e forse soltanto mentre gioca, il bambino e l’adulto è libero di essere creativo”1

Con queste parole Winnicott, psichiatra, pediatra e psicoanalista, sottolinea il ruolo centrale che il gioco detiene nello sviluppo del bambino.

Quest’ultimo lo collega a una altro concetto base e fondamentale della psicologia dello sviluppo affettivo e della relativa letteratura psicoanalitica: l’oggetto transizionale.

Esso rappresenta un ponte, un collegamento tra il soggetto, quindi il bambino, e l’oggetto cioè il mondo, collega la realtà psichica con la realtà esterna e ha permesso a Winnicott di delineare differenti fasi dello sviluppo psicologico.

Infatti l’oggetto transizionale si trova in una posizione intermedia tra il periodo dello sviluppo affettivo da definirsi dell’onnipotenza in cui il bambino vede sempre soddisfatti i propri bisogni grazie all’intervento materno, al periodo detto della realtà oggettiva in cui il bambino non riceve sempre materializzati i suoi desideri ma vive un distacco tra ciò che desidera e ciò che il mondo offre.

Ed è proprio in questo passaggio chiave che possiamo cogliere le radici dell’agire del bambino, cioè del suo gioco ed il ruolo fondamentale che ha nella costruzione della psiche del bambino stesso.

Così nella sua teoria del gioco ci parla di tre specifiche fasi.

  1. Lo stato dell’onnipotenza del bambino in cui vi è una partecipazione attenta dell’adulto (madre) al gioco del bambino.

  2. Poi si passa alla fase in cui vi è la capacità e necessità da parte del bambino di stare solo a giocare in presenza dell’adulto. In questo stadio il bambino gioca da solo serenamente perché sa che la madre è vicino a lui e che appena ne avrà bisogno sarà disponibile, pronta a soddisfare le sue esigenze.

  3. In ultimo la fase di partecipazione alla creatività del bambino, in cui le prime due aree si sovrappongono ed è la fase dello sviluppo con cui le insegnanti ed educatrici della scuola dell’infanzia si trovano a doversi confrontare assolvendo alla funzione materna.

In particolare, ricorda Winnicott ,è grazie alle cure ricevute dalla madre/figura di riferimento nei primi mesi di vita (holding, handling) e successivamente alla sua opera di mediatrice nella presentazione del mondo al bambino che nasce la mente (in termini winnicottiani il vero sé) del bambino.


E’ nel giocare e soltanto mentre gioca che l’individuo, bambino o adulto, è in grado di essere creativo e di fare uso dell’intera personalità, ed è soltanto nell’essere creativo che l’individuo scopre il sè”2


La creatività nel gioco del bambino così come l’arte, l’invenzione creativa, il suo problem solving sono i mezzi attraverso cui si manifesta la personalità dell’individuo sia esso bambino o adulto.

Si comprende ora meglio il perché dell’importanza del gioco spontaneo per un sano sviluppo affettivo e intellettivo.

Come ci ricorda Aucouturier, il fondatore della Pratica Psicomotoria, in “Agire, giocare, pensare”:

il gioco è simbolo, rappresentazione della storia vissuta fino a quel momento nella relazione di piacere e dispiacere con il mondo (a partire dalle interazioni precoci con la madre). Il gioco è un mezzo di accesso e sviluppo cognitivo. Quando il bambino utilizza un cuscino trasformandolo in vettura trasforma un oggetto in un simbolo. Da qui nasce e inizia a crearsi la sua capacità di astrazione. E ancora il gioco è un mezzo di comunicazione e socializzazione cioè lo mette in relazione con l’altro perché è territorio universale e comune che segna una condizione di sanità, di comunicazione con l’esterno e di crescita.

Queste riflessioni trovano conferma negli attuali studi delle neuroscienze rappresentando un ulteriore consapevolezza per chi opera ogni giorno nel campo dell’educazione e cura del bambino. Infatti secondo questi studi la flessibilità cognitiva è favorita dal gioco creativo che genera un aumento delle connessioni neurologiche.

Allan N. Schore afferma che Il gioco fin dall’inizio agisce sul copro favorendo lo sviluppo del cervello stesso.

Mentre nel campo della psicologia sistemica si sottolinea l’importanza di un terapista creativo, competente ed in grado di giocare con il bambino.

Quindi come la scuola può fare tesoro di quanto fino ad ora illustrato e della grande mole di studi ed evidenze scientifiche sull’importanza del gioco spontaneo, creativo e condiviso con un adulto attento ed empatico?

A tal segno ci viene in aiuto G. Nicolodi, psicomotricista e psicoterapeuta, oltre che formatore sia di psicomotricisti che di insegnanti ed educatrici di nidi e scuole dell’infanzia.

In uno dei suoi primi e fondativi testi “Maestra guardami” scrive:


Gli spazi, i tempi, il materiale e tutte le attività che si fanno a scuola o che appartengono alla scuola non sono neutre per i bambini. Fare un gioco da soli o farlo perché organizzato dalla maestra non è la stessa cosa.

Gli spazi, i tempi, i materiali della scuola sono della maestra, sono sue parti che il bambino utilizza. Sono “parti di sé” che la maestra mette a disposizione del bambino. Come il bambino molto piccolo ha bisogno del corpo reale della madre, così ora ha bisogno di un corpo simbolico.3


Comprendiamo quindi come l’oggetto della programmazione didattica non è cosa il bambino debba fare (poiché lo deciderà lui) ma come lo fa. E’ importante organizzare il tutto perché il bambino possa trovare felicità e facilità nell’esprimersi. La chiave perché ciò possa avvenire è un atteggiamento empatico dell’insegnante capace di porre un pre-pensiero sull’agire del bambino, visualizzare il suo possibile gioco e predisporre spazi e materiali a tal fine. Si devono creare degli spazi in cui il bambino possa fare effettivamente, facilitare il suo fare.

Sicuramente l’organizzazione dello spazio di gioco offerto dalla Pratica Psicomotoria Aucouturier può contribuire ad ispirare tale atteggiamento da parte delle strutture scolastiche che potrebbero adattarlo sulla base del gruppo di bambini e dei luoghi della scuola.

Fondamentale per i nidi e le scuole dell’infanzia sarà il predisporre un luogo in cui il protagonista sia il corpo, la sua esplorazione e l’azione nello spazio. Così materassi, cuscini, piani rialzati, spalliere e piani inclinati oltre che differenti superficie permetteranno ai bambini di lavorare sulla propriocezione, conoscenza del proprio corpo, dei suoi limiti fisici e delle sue possibilità di azione oltre a rappresentare uno spazio morbido in cui il bisogno di contatto e rilassamento tonico trova una adeguata risposta.

Allo stesso tempo spazi dedicati alle costruzioni anche di grandi dimensioni in cui i bambini possano poi dedicarsi al gioco di finzione e simbolico. Qui si troveranno teli, stoffe, tubi, pupazzi e altri materiali destrutturati. Particolarmente indicati per questi giochi sono i cubi di gommapiume ma, laddove la scuola non ne disponga, si potrebbero utilizzare scatoloni di carta anche da colorare.

L’atteggiamento empatico e di ascolto degli insegnanti ed educatori gli permetteranno di allestire questi spazi a partire dalle osservazioni che hanno potuto svolgere nel lavoro con i bambini stessi così da ricreare scenari di fantasia (castelli, mare e fondali, navi, case dei porcellini, ospedali ecc) giocati, pensati, citati e raccontati nel tempo trascorso con loro.

Come si diceva sopra saranno i bambini a decidere e creare il gioco, portarlo avanti ma il modo e la possibilità di farlo dipende sempre dall’adulto che si offrirà loro come quella impalcatura di sostegno in grado di dare corpo alle fantasie, ai vissuti e alle emozioni dei bambini.

Negli ultimi decenni abbiamo vissuto una trasformazione sociale e culturale che ha impattato anche sui bambini e sui bisogni, caratteristiche e interessi che portano con loro.

Siamo in una società in cui si ha una perdita dei riferimenti e in cui sono venuti meno i garanti psicosociali.

Già Baumen ci ha parlato di società liquida in cui il sostare, il riuscire a pensare, riflettere su ciò che accade fuori e dentro di noi è sempre più difficile.

La genitorialità risente di una caduta delle identificazioni. (non ci si identifica più con i genitori della precedente generazione). Uomo e donna sono disorientati, vi è una caduta dei valori per un distanziamento dai modelli precedenti e una difficoltà nel trovare nuovi modelli durevoli.

La psicoterapeuta Silvia Casella offre una calzante metafora: “Genitori come funamboli nella ricerca di una adultità”.

Una volta il problema era l’impossibilità a tenere vicini, uniti il mondo dei genitori e dei figli, ora è l’adulto che ha più bisogno del figlio per sentirsi completo.

Ecco perché oggi il bambino vive l’ambivalenza dell’essere trattenuto corpo a corpo come quando era piccolo (allattamenti prolungati, dormire nel letto di mamma e papà fino a tarda età, passeggino fino ai 5 ani ecc..) all’essere esposto a conoscenze adultizzate, lontane dal suo stadio di sviluppo e che si trova ad assorbire.

Ma cosa aiuta il bambino nel progredire dal corpo a corpo? Nel costruire la propria autonomia dalla madre prendendo consapevolezza della differenza che esiste tra sé e il mondo? Che cosa lo aiuta a formare la propria individualità, la propria identità?

La risposta è proprio il gioco. E qui, ancora una volta, torna centrale la teorizzazione di Winnicott che vede nell’oggetto transizionale ed a seguire nell’utilizzo del registro simbolico con il gioco la chiave dello sviluppo infantile.

Oggi è frequente osservare bambini che paiono persi, iniziano un’attività per poi perderla, bambini che si rincorrono per ore senza trovare però un fine, un significato del loro muoversi.

Sono bambini che vivono nella confusione e in cui il distacco, l’individuazione, i confini tra sé e il mondo appaiono fragili o non presenti. Quest’ultimi per poter finalmente uscire dalla fusionalità, da quel corpo a corpo in cui sono rimasti bloccati, per trovarsi e fare i primi passi in quello che è il processo di individuazione-separazione e costruzione di una propria identità hanno bisogno proprio del gioco spontaneo, creativo e condiviso con un adulto attento, empatico e che risuona emotivamente con lui.

A scuola le insegnanti ed educatrici svolgono un lavoro centrale e fondamentale accanto ai genitori nella riuscita di quello che è uno sviluppo affettivo e cognitivo sano.

Intervenendo sul corpo simbolico della scuola di cui sopra ci ha parlato Nicolodi (spazio, materiale, tempo) e curando la propria attitudine di ascolto attivo, empatico nei confronti del bambino e della relazione che intrattengono con esso potranno favorire lo sviluppo, la comparsa e il sempre maggior rinforzo a questo registro simbolico.

Quindi spazi idonei, pensati, progettati ed allestiti avendo nella mente il gioco di quel particolare bambino e/o gruppo di bambini.

Va da sé che lo spazio, il materiale, gli allestimenti nel corso del tempo evolveranno alla luce dei giochi, vissuti, delle storie che il bambino/i andranno a creare.

Laddove esiste una fragilità nel gioco sarà quindi fondamentale che l’insegnante si ponga in aiuto offrendo al bambino la sua capacità rappresentativa quindi, sempre a partire dagli spunti dei bambini e dalle loro idee (anche qualora siano semplici gesti, movimenti ), creare degli scenari, delle costruzioni/abitazioni, dei luoghi, spazi con piani rialzati, spazi morbidi o con superfici differenti con cui il bambino possa esprimersi attraverso il corpo ed il gioco. Solo così potrà esplorare tutte le sue possibilità, mettersi in relazione con il mondo esterno quindi conoscersi, integrarsi e poi essere pronto a comprendere come tutto ciò che lo circonda non coincide con la sua persona ma è una realtà che può essere differente a seconda di chi lo guarda, a seconda del momento in cui siamo e che tutti gli altri sono mondi particolari e unici con sui si può entrare in relazione per conoscere qualcosa di nuovo e diverso da sé così da arricchirsi, crescere.

Stiamo parlando di quel processo di decentramento che sta alla base dell’empatia e della capacità umana di mettersi in relazione con il mondo adottando un punto di vista esterno, differente che diverge dalle proprie credenze, desideri e bisogni. Questo è un fine educativo che dovrebbe essere coltivato da tutto il mondo educativo nelle diverse età della vita. Ma quest’ultimo non ha una base su cui poggiarsi se negli anni dell’infanzia non è stato portato a termine un sano e completo processo di individuazione, integrazione cioè costruzione e conoscenza della propria unicità e differenza.

E la scuola dell’infanzia, a tal proposito, ha il suo mandato educativo più importante come si evince dalla riflessioni, teorizzazioni e dagli studi sopra esposti.


BIBLIOGRAFIA

A.N Schore, Psicoterapia con l’emisfero destro, Raffaello Cortina Editore, 2019

B. Aucouturier, Agire, Giocare, pensare, Raffaello Cortina Editore, 2018

B. Aucouturier, La Pratica Psicomotoria. Rieducazione e terapia, Armando Editore

B. Aucouturier, L’onnipotenza magica del gioco, Poiesisi editrice, 2023

D. W Winnicott, Gioco e realtà, Armando Editore, 1971

G. Nicolodi, Maestra guardami, Edizioni scientifiche CSIFRA,1992

G. Nicolodi, Il disagio educativo al nido e alla scuola dell’infanzia, Franco Angeli, 2018


1D.W. Winnicott, Gioco e Realtà, Armando editore, 1971, p.101

2 D.W. Winnicott, Gioco e Realtà, Armando editore, 1971, 103


3G. Nicolodi, “Maestra Guardami”, Edizione scientifica CSIFRA, 1992, p.137


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