lunedì 8 settembre 2025

L’IMPORTANZA DEL GIOCO NELLO SVILUPPO DEL BAMBINO. Riflessione sul ruolo cardine dell’insegnante nel supporto allo sviluppo affettivo.




 “ Ora discuterò un’importante caratteristica del giocare. Questa è che mentre gioca, e forse soltanto mentre gioca, il bambino e l’adulto è libero di essere creativo”1

Con queste parole Winnicott, psichiatra, pediatra e psicoanalista, sottolinea il ruolo centrale che il gioco detiene nello sviluppo del bambino.

Quest’ultimo lo collega a una altro concetto base e fondamentale della psicologia dello sviluppo affettivo e della relativa letteratura psicoanalitica: l’oggetto transizionale.

Esso rappresenta un ponte, un collegamento tra il soggetto, quindi il bambino, e l’oggetto cioè il mondo, collega la realtà psichica con la realtà esterna e ha permesso a Winnicott di delineare differenti fasi dello sviluppo psicologico.

Infatti l’oggetto transizionale si trova in una posizione intermedia tra il periodo dello sviluppo affettivo da definirsi dell’onnipotenza in cui il bambino vede sempre soddisfatti i propri bisogni grazie all’intervento materno, al periodo detto della realtà oggettiva in cui il bambino non riceve sempre materializzati i suoi desideri ma vive un distacco tra ciò che desidera e ciò che il mondo offre.

Ed è proprio in questo passaggio chiave che possiamo cogliere le radici dell’agire del bambino, cioè del suo gioco ed il ruolo fondamentale che ha nella costruzione della psiche del bambino stesso.

Così nella sua teoria del gioco ci parla di tre specifiche fasi.

  1. Lo stato dell’onnipotenza del bambino in cui vi è una partecipazione attenta dell’adulto (madre) al gioco del bambino.

  2. Poi si passa alla fase in cui vi è la capacità e necessità da parte del bambino di stare solo a giocare in presenza dell’adulto. In questo stadio il bambino gioca da solo serenamente perché sa che la madre è vicino a lui e che appena ne avrà bisogno sarà disponibile, pronta a soddisfare le sue esigenze.

  3. In ultimo la fase di partecipazione alla creatività del bambino, in cui le prime due aree si sovrappongono ed è la fase dello sviluppo con cui le insegnanti ed educatrici della scuola dell’infanzia si trovano a doversi confrontare assolvendo alla funzione materna.

In particolare, ricorda Winnicott ,è grazie alle cure ricevute dalla madre/figura di riferimento nei primi mesi di vita (holding, handling) e successivamente alla sua opera di mediatrice nella presentazione del mondo al bambino che nasce la mente (in termini winnicottiani il vero sé) del bambino.


E’ nel giocare e soltanto mentre gioca che l’individuo, bambino o adulto, è in grado di essere creativo e di fare uso dell’intera personalità, ed è soltanto nell’essere creativo che l’individuo scopre il sè”2


La creatività nel gioco del bambino così come l’arte, l’invenzione creativa, il suo problem solving sono i mezzi attraverso cui si manifesta la personalità dell’individuo sia esso bambino o adulto.

Si comprende ora meglio il perché dell’importanza del gioco spontaneo per un sano sviluppo affettivo e intellettivo.

Come ci ricorda Aucouturier, il fondatore della Pratica Psicomotoria, in “Agire, giocare, pensare”:

il gioco è simbolo, rappresentazione della storia vissuta fino a quel momento nella relazione di piacere e dispiacere con il mondo (a partire dalle interazioni precoci con la madre). Il gioco è un mezzo di accesso e sviluppo cognitivo. Quando il bambino utilizza un cuscino trasformandolo in vettura trasforma un oggetto in un simbolo. Da qui nasce e inizia a crearsi la sua capacità di astrazione. E ancora il gioco è un mezzo di comunicazione e socializzazione cioè lo mette in relazione con l’altro perché è territorio universale e comune che segna una condizione di sanità, di comunicazione con l’esterno e di crescita.

Queste riflessioni trovano conferma negli attuali studi delle neuroscienze rappresentando un ulteriore consapevolezza per chi opera ogni giorno nel campo dell’educazione e cura del bambino. Infatti secondo questi studi la flessibilità cognitiva è favorita dal gioco creativo che genera un aumento delle connessioni neurologiche.

Allan N. Schore afferma che Il gioco fin dall’inizio agisce sul copro favorendo lo sviluppo del cervello stesso.

Mentre nel campo della psicologia sistemica si sottolinea l’importanza di un terapista creativo, competente ed in grado di giocare con il bambino.

Quindi come la scuola può fare tesoro di quanto fino ad ora illustrato e della grande mole di studi ed evidenze scientifiche sull’importanza del gioco spontaneo, creativo e condiviso con un adulto attento ed empatico?

A tal segno ci viene in aiuto G. Nicolodi, psicomotricista e psicoterapeuta, oltre che formatore sia di psicomotricisti che di insegnanti ed educatrici di nidi e scuole dell’infanzia.

In uno dei suoi primi e fondativi testi “Maestra guardami” scrive:


Gli spazi, i tempi, il materiale e tutte le attività che si fanno a scuola o che appartengono alla scuola non sono neutre per i bambini. Fare un gioco da soli o farlo perché organizzato dalla maestra non è la stessa cosa.

Gli spazi, i tempi, i materiali della scuola sono della maestra, sono sue parti che il bambino utilizza. Sono “parti di sé” che la maestra mette a disposizione del bambino. Come il bambino molto piccolo ha bisogno del corpo reale della madre, così ora ha bisogno di un corpo simbolico.3


Comprendiamo quindi come l’oggetto della programmazione didattica non è cosa il bambino debba fare (poiché lo deciderà lui) ma come lo fa. E’ importante organizzare il tutto perché il bambino possa trovare felicità e facilità nell’esprimersi. La chiave perché ciò possa avvenire è un atteggiamento empatico dell’insegnante capace di porre un pre-pensiero sull’agire del bambino, visualizzare il suo possibile gioco e predisporre spazi e materiali a tal fine. Si devono creare degli spazi in cui il bambino possa fare effettivamente, facilitare il suo fare.

Sicuramente l’organizzazione dello spazio di gioco offerto dalla Pratica Psicomotoria Aucouturier può contribuire ad ispirare tale atteggiamento da parte delle strutture scolastiche che potrebbero adattarlo sulla base del gruppo di bambini e dei luoghi della scuola.

Fondamentale per i nidi e le scuole dell’infanzia sarà il predisporre un luogo in cui il protagonista sia il corpo, la sua esplorazione e l’azione nello spazio. Così materassi, cuscini, piani rialzati, spalliere e piani inclinati oltre che differenti superficie permetteranno ai bambini di lavorare sulla propriocezione, conoscenza del proprio corpo, dei suoi limiti fisici e delle sue possibilità di azione oltre a rappresentare uno spazio morbido in cui il bisogno di contatto e rilassamento tonico trova una adeguata risposta.

Allo stesso tempo spazi dedicati alle costruzioni anche di grandi dimensioni in cui i bambini possano poi dedicarsi al gioco di finzione e simbolico. Qui si troveranno teli, stoffe, tubi, pupazzi e altri materiali destrutturati. Particolarmente indicati per questi giochi sono i cubi di gommapiume ma, laddove la scuola non ne disponga, si potrebbero utilizzare scatoloni di carta anche da colorare.

L’atteggiamento empatico e di ascolto degli insegnanti ed educatori gli permetteranno di allestire questi spazi a partire dalle osservazioni che hanno potuto svolgere nel lavoro con i bambini stessi così da ricreare scenari di fantasia (castelli, mare e fondali, navi, case dei porcellini, ospedali ecc) giocati, pensati, citati e raccontati nel tempo trascorso con loro.

Come si diceva sopra saranno i bambini a decidere e creare il gioco, portarlo avanti ma il modo e la possibilità di farlo dipende sempre dall’adulto che si offrirà loro come quella impalcatura di sostegno in grado di dare corpo alle fantasie, ai vissuti e alle emozioni dei bambini.

Negli ultimi decenni abbiamo vissuto una trasformazione sociale e culturale che ha impattato anche sui bambini e sui bisogni, caratteristiche e interessi che portano con loro.

Siamo in una società in cui si ha una perdita dei riferimenti e in cui sono venuti meno i garanti psicosociali.

Già Baumen ci ha parlato di società liquida in cui il sostare, il riuscire a pensare, riflettere su ciò che accade fuori e dentro di noi è sempre più difficile.

La genitorialità risente di una caduta delle identificazioni. (non ci si identifica più con i genitori della precedente generazione). Uomo e donna sono disorientati, vi è una caduta dei valori per un distanziamento dai modelli precedenti e una difficoltà nel trovare nuovi modelli durevoli.

La psicoterapeuta Silvia Casella offre una calzante metafora: “Genitori come funamboli nella ricerca di una adultità”.

Una volta il problema era l’impossibilità a tenere vicini, uniti il mondo dei genitori e dei figli, ora è l’adulto che ha più bisogno del figlio per sentirsi completo.

Ecco perché oggi il bambino vive l’ambivalenza dell’essere trattenuto corpo a corpo come quando era piccolo (allattamenti prolungati, dormire nel letto di mamma e papà fino a tarda età, passeggino fino ai 5 ani ecc..) all’essere esposto a conoscenze adultizzate, lontane dal suo stadio di sviluppo e che si trova ad assorbire.

Ma cosa aiuta il bambino nel progredire dal corpo a corpo? Nel costruire la propria autonomia dalla madre prendendo consapevolezza della differenza che esiste tra sé e il mondo? Che cosa lo aiuta a formare la propria individualità, la propria identità?

La risposta è proprio il gioco. E qui, ancora una volta, torna centrale la teorizzazione di Winnicott che vede nell’oggetto transizionale ed a seguire nell’utilizzo del registro simbolico con il gioco la chiave dello sviluppo infantile.

Oggi è frequente osservare bambini che paiono persi, iniziano un’attività per poi perderla, bambini che si rincorrono per ore senza trovare però un fine, un significato del loro muoversi.

Sono bambini che vivono nella confusione e in cui il distacco, l’individuazione, i confini tra sé e il mondo appaiono fragili o non presenti. Quest’ultimi per poter finalmente uscire dalla fusionalità, da quel corpo a corpo in cui sono rimasti bloccati, per trovarsi e fare i primi passi in quello che è il processo di individuazione-separazione e costruzione di una propria identità hanno bisogno proprio del gioco spontaneo, creativo e condiviso con un adulto attento, empatico e che risuona emotivamente con lui.

A scuola le insegnanti ed educatrici svolgono un lavoro centrale e fondamentale accanto ai genitori nella riuscita di quello che è uno sviluppo affettivo e cognitivo sano.

Intervenendo sul corpo simbolico della scuola di cui sopra ci ha parlato Nicolodi (spazio, materiale, tempo) e curando la propria attitudine di ascolto attivo, empatico nei confronti del bambino e della relazione che intrattengono con esso potranno favorire lo sviluppo, la comparsa e il sempre maggior rinforzo a questo registro simbolico.

Quindi spazi idonei, pensati, progettati ed allestiti avendo nella mente il gioco di quel particolare bambino e/o gruppo di bambini.

Va da sé che lo spazio, il materiale, gli allestimenti nel corso del tempo evolveranno alla luce dei giochi, vissuti, delle storie che il bambino/i andranno a creare.

Laddove esiste una fragilità nel gioco sarà quindi fondamentale che l’insegnante si ponga in aiuto offrendo al bambino la sua capacità rappresentativa quindi, sempre a partire dagli spunti dei bambini e dalle loro idee (anche qualora siano semplici gesti, movimenti ), creare degli scenari, delle costruzioni/abitazioni, dei luoghi, spazi con piani rialzati, spazi morbidi o con superfici differenti con cui il bambino possa esprimersi attraverso il corpo ed il gioco. Solo così potrà esplorare tutte le sue possibilità, mettersi in relazione con il mondo esterno quindi conoscersi, integrarsi e poi essere pronto a comprendere come tutto ciò che lo circonda non coincide con la sua persona ma è una realtà che può essere differente a seconda di chi lo guarda, a seconda del momento in cui siamo e che tutti gli altri sono mondi particolari e unici con sui si può entrare in relazione per conoscere qualcosa di nuovo e diverso da sé così da arricchirsi, crescere.

Stiamo parlando di quel processo di decentramento che sta alla base dell’empatia e della capacità umana di mettersi in relazione con il mondo adottando un punto di vista esterno, differente che diverge dalle proprie credenze, desideri e bisogni. Questo è un fine educativo che dovrebbe essere coltivato da tutto il mondo educativo nelle diverse età della vita. Ma quest’ultimo non ha una base su cui poggiarsi se negli anni dell’infanzia non è stato portato a termine un sano e completo processo di individuazione, integrazione cioè costruzione e conoscenza della propria unicità e differenza.

E la scuola dell’infanzia, a tal proposito, ha il suo mandato educativo più importante come si evince dalla riflessioni, teorizzazioni e dagli studi sopra esposti.


BIBLIOGRAFIA

A.N Schore, Psicoterapia con l’emisfero destro, Raffaello Cortina Editore, 2019

B. Aucouturier, Agire, Giocare, pensare, Raffaello Cortina Editore, 2018

B. Aucouturier, La Pratica Psicomotoria. Rieducazione e terapia, Armando Editore

B. Aucouturier, L’onnipotenza magica del gioco, Poiesisi editrice, 2023

D. W Winnicott, Gioco e realtà, Armando Editore, 1971

G. Nicolodi, Maestra guardami, Edizioni scientifiche CSIFRA,1992

G. Nicolodi, Il disagio educativo al nido e alla scuola dell’infanzia, Franco Angeli, 2018


1D.W. Winnicott, Gioco e Realtà, Armando editore, 1971, p.101

2 D.W. Winnicott, Gioco e Realtà, Armando editore, 1971, 103


3G. Nicolodi, “Maestra Guardami”, Edizione scientifica CSIFRA, 1992, p.137


giovedì 23 settembre 2021

Il significato dei Patti. La filosofia che aiuta a condividere.


Il significato dei Patti. La filosofia che aiuta a condividere.

Quest'anno il "Festival della Filosofia" sulla libertà meraviglia e commuove.
Taccuino e penna in mano alla ricerca del proprio posto. L'ascolto delle lezioni del professore Carlo Sini sono, ormai, un consueto appuntamento. In queste due ore mi sembra di tornare all'università ed è come giocare a "far finta di", esperienza tanto amata dai bambini e dall'adulto spesso ricercata. 
E, come in ogni gioco che si rispetta, mi metto in discussione e porto a casa qualche nuova conoscenza e consapevolezza.

La lezione magistrale di Carlo Sini riporta il seguente titolo “Libertà condizionata. La virtù delle catene.”
Ma come fa la libertà ad essere in catene? Perché mi propone questa contraddizione?

Sini, citando il Nietzsche della "Genealogia della morale" ci porta all’interno del paradosso della condizione umana.

Da un lato il suo destino è quello di tutti gli esseri che non possono vivere separati (il bambino ha bisogno del seno materno).Noi tutti siamo bisognosi dell’altro corpo perché non può dirsi propriamente vita la mia senza il corpo dell'altro. E questa lezione il Lockdown l'ha insegnato a tutti noi.
Ma dall’altra parte noi possiamo e, concretamente viviamo, come esseri separati.

Questa contraddizione dell'esistenza introduce il concetto di culla originaria come luogo in cui è nato il legame io-te, il luogo in cui affonda le radici la PERSONALITA’ di tutti noi.
Luogo da cui proveniamo e che permette il formarsi di una identità distinta, unica e irripetibile. Altro non è che quella relazione primaria di cui tanto parla il pensiero psicoanalitico (Mahler, Bowlby, Winnicott).

E’ in questo rapporto originario che nascono i patti, quelle promesse che Nietzsche dice essere fondanti della condizione umana.
In realtà, se ci pensiamo, noi questi patti li ritroviamo nel corso della vita ad ogni livello: famiglia, scuola, gruppo degli amici, lavoro ecc..
Per ciascun gruppo a cui apparteniamo assumiamo responsabilità e ci impegniamo a rispettare delle promesse.
E da queste stesse appartenenze, mutatis mutandi, nascono anche i fisiologici sentimenti di competizione, rivalità, estraneità per il diverso.

Ma, ci fa riflette il filosofo, proprio da qui si apre la strada per la libertà e il processo di umanizzazione.
Quindi come è possibile?

La soluzione la troviamo, ancora una volta, nel paradosso cioè nella culla originaria, nella mie particolari e uniche radici. E’ il mettere in comune, in rete gli strumenti, i valori, i pensieri che, allargandosi le reciproche appartenenze, ci liberiamo da ignoranze e superstizioni e ci permette di diventare umani.
Come ricorda il professore, non si nasce umani ma lo si diventa!

Attenzione, è una libertà che parte, si fonda ed esiste grazie alla presenza di quelle radici, di quella culla originaria che Sini nel titolo del suo intervento chiama, in modo provocatorio, “catene”. Non si tratta di rinnegare le proprie radici ma di elevare il proprio valore. 
È nell’elevare le proprie catene, nell’allargare la mia responsabilità grazie alla condivisione che mi libero. Non tradisco la mia origine, la innalzo, la libero dal pregiudizio e, mettendola in rete, in relazione con il mondo divento veramente umano.
Questo cammino o processo inizia proprio dall'educazione.

“Che cos’è l’educazione se non l’imparare a non essere totalmente condizionati dalle inclinazioni sensibili?"

Grazie a quest’ultima il bambino impara a essere responsabile quindi capace di darsi una norma, una regola e di perseguirla, di non tradire la promessa nonostante i suoi bisogni, desideri e impulsi. Al contrario queste vengono dalle regole limitate e distinguono il bambino, il ragazzo e, infine, l’uomo dall’animale.

Ecco perché in psicomotricità o in Pet Therapy, ambiti in cui lavoro o meglio incontro i bambini, mi piace parlare di patti. 
Quante volte mi sono sentita dire: ”ma si le regole. Cosa cambia?”

Le parole che utilizziamo con i bambini e, più in generale, nel rapporto con gli altri, portano con sè dei significati che sono tanto importanti nel definire il tipo di relazione che desideriamo avere con loro.
Garantiscono il crearsi di una relazione di fiducia ed educano.

Quindi concludo con l’etimologia di PATTI. Dal Dizionario Treccani si legge: "concordare, accordarsi e, termine che trovo illuminante, PATTEGGIARE, parola che ha la stessa radice di Pax, pace. 

Il bambino stringe un patto, un accordo di reciprocità con il gruppo grazie al quale si fa responsabile del bene suo e degli altri e inizia il cammino verso una sempre maggiore liberazione e umanizzazione.

Bibliografia:
Carlo Sini: “Libertà condizionata. La virtù delle catene.”. Festival Filosofia 2021.
Dizionario Treccani

giovedì 1 aprile 2021

 

LA PSICOMOTRICITA’.

DIFFICILE DA PRONUNCIARE, FACILE DA AMARE.

 

Nascita e apporti.

La psicomotricità nasce nella seconda metà del XX secolo e si avvale dell’apporto di diverse discipline tra cui: pedagogia, psicologia, neurologia, neurofisiologia, neuropsichiatria infantile e pediatria che ne costituiscono il supporto scientifico. Questa multidisciplinarità risponde alla necessità di superare il dualismo mente-corpo e la conseguente parcellizzazione del sapere per assumere una visione globale della persona.

 

La dimensione corporea: la matrice della psicomotricità.

In campo psicomotorio, grazie a questi diversi e complementari apporti teorici, si afferma l’importanza del corpo e del suo linguaggio nell’infanzia quale modalità privilegiata dal bambino per incontrare il proprio mondo interno, quello degli altri e delle cose.

L’utilizzo consapevole e tecnico della dimensione corporea da parte dell’adulto impegnato nel processo educativo e di aiuto si impone, come via privilegiata, di intervento e lavoro.

 

Il gioco: proposta psicomotoria per eccellenza

Il gioco infantile che coinvolge il corpo del bambino mette in gioco la parte motivazionale più forte e intensa e, attraverso di essa, il bambino entra in contatto con le fibre più profonde del suo essere in senso globale.

Il gioco è un fenomeno profondamente esistenziale, presente in ogni epoca e parte del mondo ed è dotato di una sua grammatica interna.

Appartiene al processo evolutivo del bambino ma è l’adulto che gli attribuisce spazi, tempi, significati e oggetti. Alla sua base vi deve sempre essere il piacere del fare e mai il piacere di ricevere un giudizio.

In psicomotricità i giochi, caratterizzati da una forte intensità motivazionale ed emotiva e ai quali è dedicato uno specifico spazio, sono di due tipi:

1.       Gioco senso-motorio

Saltare, cadere, rotolare, girare, scivolare e tutti i giochi in cui ci si mette alla prova con la forza di gravità oltre che sperimentarsi lungo l’asse equilibrio e disequilibrio. Infatti l’oggetto di ricerca nelle sperimentazioni del bambino in questi tipi di giochi ruota attorno alla paura della caduta e la sua conseguente emozione.

Si aggiungono a questa tipologia di giochi tutti quelli che investono la muscolatura più attiva nel rapporto che il bambino ha con il mondo esterno; vale a dire: prendere, lasciare, tirare, lanciare, trascinare e dare.

Questi movimenti per il bambino sono importanti perché gli permettono di vivere il proprio corpo come abile e competente, distinto e diverso, in via di formazione ma individuato come proprio e unico. Questo ha una ricaduta fondamentale nel processo di individuazione del bambino (costruzione di una propria identità corporea) e nella formazione di una positiva immagine di sé (autostima).

2.       Gioco simbolico

Verso la fine del secondo anno di vita il bambino si avvicina a una tipologia di giochi infantili fondamentali e che lo accompagneranno a lungo nel suo processo di sviluppo, cioè il gioco simbolico e il “far finta di”.

Anche in questo gioco è forte la componente emotiva che si esprime grazie alla proiezione e personificazione di ruoli (la mamma, il figlio, il ladro) e personaggi (supereroi, animali) scelti dallo stesso bambino.

Queste esperienze di gioco sono fondamentali per il suo sviluppo psicologico.

Grazie a questo tipico linguaggio si accede alla tappa della costruzione della propria identità a livello più mentale e psichico. Il simbolico permette di giocare tutti i temi propri dello sviluppo infantile tra cui il legame di attaccamento, l’accesso e l’alfabetizzazione al mondo dell’intersoggettività (comunicazione umana) e il complesso edipico (necessario per conoscere e iniziare a padroneggiare la propria identità di genere).

Il perché della psicomotricità. Riflessioni finali.

Attenzione perché non si tratta di insegnare ai bambini cosa devono dire o fare. Infatti in ogni epoca e cultura queste sono state le strutture fondamentali del gioco spontaneo del bambino. Lo scopo della psicomotricità è offrire una organizzazione didattica a ciò che il bambino porta in sala, a ciò che ha sempre fatto e sempre farà.

In particolare il compito dello psicomotricista sarà quello di ricevere il vissuto emotivo del bambino, rivelato dal suo gioco e rimandarglielo in modo fecondo per il suo sviluppo psichico.

Ecco perché è tanto importante la sala di psicomotricità con il suo specifico setting. Solo grazie a uno spazio, un tempo e un materiale pensato e progettato dall’adulto per quel bambino si potrà restituirgli il suo piacere e la sua emozione che rappresentano gli ingredienti fondamentali per la sua crescita e il suo benessere.

Bibliografia:

B. Aucouturier, I. Darrault, J.L. Empinet, La pratica psicomotoria. Rieducazione e terapia. Armando Editore , Roma, 2004.

G.Nicolodi, Il disagio educativo al nido e alla scuola dell’infanzia, FrancoAngeli, Milano, 2018.

G. Nicolodi, L’educazione psicomotoria nell’infanzia. Lo sguardo come presenza: principi, obiettivi e metodologia. Erikson, Trento, 2015.

Luisa Formenti, Psicomotricità educazione e prevenzione. La progettazione in ambito socioeducativo. Erikson, Trento, 2013.

giovedì 7 maggio 2020


La RELAZIONE CANE-BAMBINO
 PARALLELISMI E ALLEANZE



Nel campo delle scienze umane fu Bowlby a gettare le basi della Teoria dell’attaccamento. Formulando l’ipotesi secondo la quale il legame del bambino alla madre è l’espressione di un bisogno primario. Da questa necessità dell’infante derivano una serie di comportamenti che il bambino focalizza su una figura specifica al fine di ristabilire il contatto con essa perché necessario alla sua sopravvivenza organica ma anche psicologica.
Le riflessioni di Bowlby furono affiancate e sviluppate successivamente da M. Ainsworth che studiò le caratteristiche materne e i differenti stili di attaccamento.
Questi studi e ricerche sottolinearono come la natura del legame sia da considerare un prerequisito per lo sviluppo e la sopravvivenza psicologica del bambino oltre che un banco di prova per tutti i successivi attaccamenti e cioè una relazione che influenzerà tutti i rapporti importanti che l’individuo stabilirà successivamente.
Se ci si sposta in campo animale ritroviamo il costituirsi di un similare legame e attaccamento del cucciolo con la madre.
Esiste un progressivo sviluppo fisiologico e comportamentale nel cane in cui l’individuo si arricchisce di competenze sensoriali, emozionali, cognitive e sociali che andranno a tracciarne il futuro temperamento.
In particolare Marchesini conia il termine periodo sensibile per indicare l’esistenza di diverse tappe dell’età evolutiva in cui il cane è predisposto ad accogliere le diverse esperienze.
Anche nello sviluppo del cane come in quello dell’uomo vi è un periodo, più limitato nel tempo, in cui il piccolo dipende alle cure materne senza le quali non potrebbe sopravvivere sia da un punto di vista fisiologico che psicologico, comportamentale e sociale. E’ durante le prime settimane di vita che si sviluppa nel cucciolo il legame di attaccamento. Come nel piccolo dell’uomo è su questo primario legame che inizia e si fonda la vita di relazione del cucciolo in crescita.
Si deduce come tanto nell'uomo come anche nel cane il comportamento e lo sviluppo siano il risultato di una armonica fusione tra differenti doti (psichiche, fisiche, fisiologiche, psicofisiche e psicofisiologiche) e come questa armonia abbia le proprie basi nella qualità della relazione primaria.
            La relazione uomo-cane ha origini antiche che tracciano una storia di alleanza e reciproco aiuto. Da questa amicizia nasce un ulteriore legame di attaccamento.
            L’uomo diventa la base sicura secondaria per l’amico a quattro zampe.
            Spostando il focus di attenzione al settore degli Interventi Assistiti con gli Animali (Pet Therpay) si ritrova il valore della relazione primaria in una duplice accezione. Da un lato l’importanza che riveste nella formazione del binomio cane-coadiutore, dall'altra parte le potenzialità e risorse che il cane può portare in questo processo primario a beneficio dell’uomo.
Il cane che viene coinvolto dal suo compagno umano in Pet Therpay sarà nello specifico contesto di lavoro un professionista ma anche e, prima di tutto, un individuo da collocare in un contesto relazionale ben preciso.
E'importante che il compagno umano del cane, in seduta come nella vita di tutti i giorni, assuma il ruolo di figura di riferimento vale a dire “la base sicura” di cui parla Bowlby. Il coadiutore darà al cane sicurezza e sarà a lui che quest’ultimo si rivolgerà per avere conferme e certezze.
Fu il neuropsichiatra infantile B.Levinson ad osservare come la presenza di un animale rendeva semplice per un bambino, spesso intimorito dalla comunicazione diretta con il terapeuta, l’espressione delle sue difficoltà. Attraverso il cane e grazie a un continuo scambio di manifestazioni affettive e ludiche con esso l’incontro terapeutico diventava piacevole.
Levinson sviluppò la teoria della “pet oriented child psychotherapy” basata sull’idea che il bambino si identifica con l’animale. Il cane diventa un oggetto transizionale su cui il bambino può proiettare sensazione diversamente inesprimibili permettendogli di manifestare, elaborare e parlare della sua vita e delle sue inquietudini.
Perciò la relazione uomo-animale rappresenta una preziosa risorsa attraverso la quale aprirsi, sentirsi accettato, non giudicato e non da ultimo conoscersi e farsi conoscere.
Infatti grazie alla sua capacità di relazionarsi con l’uomo, attraverso una comunicazione non verbale, spontanea e istintuale, priva di meccanismi psicologici difensivi come la negoziazione e la falsificazione, l’animale stabilisce con il mondo esterno un rapporto diretto, lineare e sincero che l’uomo vive come non minaccioso.
Le attività di Pet Therpay che si rivolgono ai bambini possono rispondere a diversi bisogni tra i quali la necessità di una crescita sana, il benessere e una sua positiva inclusione sociale del minore.
Nella relazione e lavoro educativo e/o terapeutico con il bambino il gioco rappresenta un campo di elezione per raggiungere obiettivi di benessere psicofisico, di crescita e di integrazione nei suoi contesti di vita quali la scuola, la famiglia e più in generale la società e il mondo esterno.
Il gioco è un ambito esperienziale privilegiato e ponte primario di comunicazione con loro.
P.Manuzzi, formatrice e psicomotricista, la definisce la nostra più umana modalità esistenziale di essere al mondo.
E’ presente in ogni epoca e parte del mondo con una sua stessa grammatica interna. Ha un duplice volto; da un lato è fonte di cambiamento, dall'altro di conservazione dei valori di una società.
G. Bateson nel suo approccio ecologico parla del gioco non come azione ma di una cornice per l’azione. Il gioco nasce nel momento in cui i giocatori comunicano tra loro con modalità non verbali: “Attenzione, questo è un gioco”. In questo senso il gioco si presenta come una meta-comunicazione.
Nel campo degli studi psicoanalitici Winnicott è la figura più significativa rispetto alle teorie del gioco. Secondo lo psicologo il gioco è configurabile come una attività transizionale che permette di passare dallo stato di fusione/confusione con la madre all'acquisizione graduale di una sua identità separata. Il neonato vive una fase allucinatoria in cui non vi è distinzione tra sé e il mondo esterno, con il passare del tempo la madre viene introiettata dal piccolo e può essere proiettata su un oggetto transizionale. Ecco che il gioco, secondo Winnicott, prende la forma di questo spazio di transizione in cui la perdita momentanea della madre avvierà un processo di nascita psicologica del sé distinto.
Il gioco appartiene al processo evolutivo del bambino pur essendo l’adulto a offrirgli spazi, tempi, oggetti e significati.
Quindi esso è terapeutico in sé e necessario per una sana evoluzione.
            Anche nel percorso di crescita del cane ritroviamo il gioco come componente importante per il suo sviluppo. Nel corso del periodo di socializzazione, che inizia alla quarta settimana di vita, il cucciolo grazie alla madre e ai fratelli apprende i comportamenti di gioco. Tra le esigenze del cucciolo oltre a quelle fisiologiche (bere, mangiare, dormire) ritroviamo quelle sociali. Avere una vita sociale soddisfacente significa anche giocare. Questo permette la creazione del corretto legame referenziale con la famiglia umana.
Quindi nella primissima infanzia il cucciolo di uomo e di cane seguono percorsi evolutivi simili e complementari.
Il bambino piccolo per esplorare l’ambiente lancia gli oggetti ma non è in grado di recuperarli. Il cane, spinto dall'istinto atavico di recupero della preda, ha bisogno di imparare ad afferrare gli oggetti in movimento.
Si legge nel saggio Pet therapy psicomotoria di Sparta Piccinno:

Il parallelismo cane-bambino è dunque significativo: al di là dell’esecuzione del medesimo rituale, sia il cane che il bambino necessitano dell’intervento di un adulto che avvii e mantenga tale relazione e attività (il recupero o il lancio dell’oggetto).[1]

La condivisione di questa attività permetterà:
  • al bambino, grazie all’andare avanti e indietro del cane, di elaborare e quindi controllare, a livello psichico, la stabilità dell’immagine della madre quando questa scompare momentaneamente;
  •    al cane  di soddisfare il proprio istinto predatorio imparando la relazione positiva con l’uomo e sviluppando capacità cognitive.
Analogo affiatamento e complicità tra cane e bambino si può ritrovare nell'attività del passeggiare portando al guinzaglio il cane in un gioco dinamico in cui il cane, sempre affiancato dal'adulto sua base sicura, può essere il compagno di esplorazione del bambino.
Così il cane svolge la funzione di base sicura o meglio, come direbbe Winnicott, di “oggetto transizionale”.

Rassicurato e stimolato dal cane il bambino sarà spinto ad andare avanti esorcizzando la paura dell’ignoto, rinforzando il suo Io con la certezza della presenza dell’altro.



[1] S. Piccinno, Pet Therpay psicomotoria, Editoriale Olimpia,2010, p.20

mercoledì 22 aprile 2020



IO, NOI, L’ACQUA:
BAGNETTO e PSICOMOTRICITA’

Spunti e consigli per giocare e rendere piacevole il bagno per mamma, papà e bambino!

Quali sono i tempi e le routine che possono riempire di significati e valore questa attesa a casa di genitori e bambini!?

Oggi insieme ai nostri cari viviamo momenti che ci appaiono scontati, ripetitivi forse anche faticosi e impegnati ma, al contrario, se valorizzati possono racchiudere valori affettivi, relazionali e fondativi per la costruzione dell’identità nel bambino.
Oggi partiamo dal momento del bagnetto! Routine che genitori e bambini vivono ogni giorno condividendo gesti di cura, emozioni e vissuti.
L’acqua è la sostanza da cui tutti noi veniamo. Per nove mesi siamo immersi nel liquido amniotico e questa memoria corporea fa sì che, anche dopo la nascita, questo elemento possiede una forza motrice inconscia per il bambino e un ambiente da ritrovare.
L’acqua è un mediatore che aderisce e avvolge il corpo permette il rilassamento facendo emergere il bisogno affettivo.
Per tutte queste caratteristiche l’esperienza del bagnetto insieme a mamma e papà nei primi anni di vita è un momento ricco e importante per lo sviluppo psicofisico e il benessere del bambino.
Di seguito si presentano materiali, spazi e buone pratiche per rendere speciale il bagnetto del vostro bambino!

Cosa Serve:

  • vasca da bagno o una bacinella da bucato grossa che permetta al bambino di immergersi;
  • bicchieri di plastica dura; 
  • scolapasta; 
  • giochi o oggetti che galleggiano: es. paperelle, pesciolini o semplicemente un tubetto di Shampoo vuoto; 
  • giochi o oggetti che affondino in acqua (es. gioco batman, semplice saponetta);
  • ma l’ingrediente più importante è la voglia e la pazienza di accompagnare il bambino/a nei giochi e nelle sperimentazioni in acqua, vivere assieme avventure che possono anche fare paura ma che, grazie alla sicurezza e al divertimento saranno importanti occasioni di crescita. Quindi è fondamentale l’atteggiamento di tranquillità del genitore (evitando il … dai, facciamo veloce che dobbiamo andare a cena ...) e vegliare sulla sicurezza sia fisica, offrendo il proprio sostegno corporeo, sia psicologica, offrendo sempre e comunque il nostro sguardo, la nostra attenzione e presenza. Se dovesse accadere che il piccolo/a scivoli e beva l’acqua sollevatelo/a fategli un gran sorriso e via di nuovo a giocare, mantenete la calma così da potergliela trasmettere. Ricordatevi che le emozioni hanno la caratteristica di saltare da una persona all’altra, dal genitore al bambino e viceversa.
Grazie a questa disponibilità dell’adulto l’AMBIENTE ACQUA e il MOMENTO DEL BAGNO acquistano tutti quegli attributi necessari perché possa dirsi un AMBIENTE EDUCATIVO cioè tranquillità, serenità, gioia, entusiasmo e allegria che costituiscono le fondamenta per qualsiasi apprendimento.

Come si può fare:

Dopo aver reso la stanza da bagno colorata, aver riempito la vasca di acqua calda/tiepida, inserisco dentro di essa i giochi.
Entrate insieme nella vasca o nella doccia con una bacinella. I genitori osservano ciò che fa il bambino.
Se inizia da solo a cercare i giochi da lui preferiti, assecondate la sua attività e partecipate con entusiasmo tramite sguardi e rispondete alle sue richieste.
 Se invece fosse spaventato e quindi restasse fermo in una zona della vasca saranno mamma o papà a prenderlo per mano e accompagnarlo in questa avventura proponendogli giochi e piccoli spostamenti facendo sempre attenzione a mantenere il piacere del bambino. 
       
Cosa si può fare

1)  GIOCO dei TRAVASI con i bicchiere.
2) CONTATTO con l’ACQUA sul PROPRIO CORPO: utilizzo il bicchiere per abituare il bambino alla percezione dell’acqua che scende dietro le spalle fino ad arrivare, piano piano a piccoli passi (anche in giorni e bagni successivi) a bagnare tutta la testa.
Se il mio bimbo si mettesse a piange riconoscete l’emozione, dategli importanza e consolatelo. Poi fate il medesimo gioco su voi stessi accompagnato da entusiasmo e divertimento. Mostrerete così al bambino come la stessa “prova” genere nei suoi riferimenti (eroi) l’effetto opposto. Questa dimostrazione lo rassicurerà permettendogli di affrontare con i suoi tempi, diversi per ogni bambino, la sua paura al fianco dei suoi eroi.
3) GIOCO della PIOGGIA. Se il bambino ha mostra sicurezza e divertimento al gioco precedente si può iniziare ad utilizzare lo scolapasta per simulare una ipotetica pioggia. Per non essere colpito dall’acqua che scende dallo scolapasta, in modo spontaneo e quando si sentirà pronto, il piccolo immergerà la testa in acqua (dipenderà anche molto dall’ abilità dell’accompagnatore e dalla tranquillità del bambino sull’ immersione del capo) Naturalmente questo è uno step avanzato. Partiamo dal fatto che il nostro piccolo si getti tramite lo scolapasta acqua addosso autonomamente in qualsiasi zona del viso/ capo.
4) CACCIA al TESORO. Questo gioco si può proporre quando il bambino è sicuro nell’immergersi. Grazie a oggetti e giochi che possono affondare chiederò al bambino di recuperarli seguendo il suo ordine o l’ordine indicato dalla mamma e papà o facendo a turno nella scelta.
5)  GIOCO della BARCHETTA nella vasca (o un tubetto di shampoo che galleggi). Insieme si osserva come è possibile giostrare le spinte e vedere l’effetto dell’acqua.
6)    GIOCO della PALLINA: prendete una pallina e passatevela, spingertela sotto o fategli un buchino per utilizzarla come spruzzino.


Queste sono solo alcune cose ma l’aspetto più importante e farlo insieme ad un genitore o ad
entrambi; ciò permette a tutti di stare insieme in un tempo ricco di relazione tanto importante ai tempi del Coronavirus.

Ricordate che uno sguardo empatico e attento di una mamma o di un papà è 100 volte più forte di un “bravo” detto da un
qualsiasi altro adulto come il maestro.

I loro eroi siete voi genitori!!

Silvio Lusetti, insegnante FIN
  Alice Migliari, Psicomotricista e Pedagogista

L’IMPORTANZA DEL GIOCO NELLO SVILUPPO DEL BAMBINO. Riflessione sul ruolo cardine dell’insegnante nel supporto allo sviluppo affettivo.

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